Emoji e emoticon, oltre lo smile
Era il settembre del 1982 quando Scott Fahlman, un professore dell'università di Pittsburgh (Pennsylvania) fece circolare all'interno della intranet universitaria un messaggio in cui spiegava che sarebbe stato conveniente usare la combinazione di caratteri :-) per indicare quando, nei messaggi scritti, il tono doveva essere scherzoso.
Viceversa, si sarebbe dovuta usare la combinazione :-( quando invece il tono era serio. Erano ufficialmente nate le emoticon, ovvero un modo pratico per poter spiegare le emozioni in un testo scritto.
Uno dei limiti che la comunicazione scritta ha sempre avuto è quello di essere percepita come più "fredda" rispetto al parlato, in quanto le emozioni possono più facilmente essere trasmesse con il tono della voce (anche in una conversazione a distanza, dove non ci si trova a contatto visivo), quando non addirittura con tutta una serie di espedienti paraverbali. Per secoli, scrittori e poeti hanno tentato di trovare delle parole sempre nuove per rendere le emozioni in forma scritta, ricorrendo però più o meno sempre alle stesse modalità: perifrasi, spiegazioni, metafore, tutti espedienti che aggiungevano parole alle parole e arricchivano il testo.
L'avvento della comunicazione "digitale", invece, presentava un limite che per molti anni è stato invalicabile: bisognava dire di più usando meno parole possibili perché lo spazio (e quindi i caratteri) era limitato. Come fare quindi per far capire il proprio stato d'animo all'interno di uno striminzito campo di testo? Occorreva il classico lampo di genio, che è quello che effettivamente venne a Fahlman. Seguendo lo stesso semplice schema, le emoticon si sono arricchite e moltiplicate fino a diventare una sorta di codice, un modo di comunicare proprio di una nicchia di persone che, tra gli anni '80 e '90, utilizzavano una tecnologia allora all'appannaggio di pochi. I newsgroup, le board, i primissimi forum, le chat IRC e DC++, erano tutto un fiorire di emoticon a sottolineare umorismo, stupore, tristezza e allegria, primo esempio di resa "visuale" di caratteri semplici come i segni di punteggiatura che poi si sublimerà nell'ASCII art.
Come dimenticare poi, a cavallo del cambio di millennio, la rivoluzione rappresentata dagli SMS e dall'obbligo, spesso superato in modo molto creativo, di dire tutto in 160 caratteri. Forse è proprio in questa fase che le emoticon lasciano la "nicchia" e diventano "di massa", quando i telefonini cominciano a comparire nelle tasche di tutti e la comunicazione digitale inizia a farsi largo. Certo con il telefono si può parlare, ma per la prima volta si può anche scrivere e da semplice mezzo di comunicazioni di emergenza gli SMS diventano uno stile di vita (ad esempio, lo sapevate che esisteva un campionato di velocità di scrittura sui tastierini dei piccolissimi telefoni GSM?). Le emoticon, insieme alle abbreviazioni iniziano a "contaminare" ogni aspetto del quotidiano.
Dal boom degli anni 2000 a oggi
Alla fine degli anni '90, però, ci si rende conto che le emoticon hanno dei limiti costituiti da un numero finito di segni di interpunzione utilizzabili per comporle. Inoltre, alcune lingue possono presentare dei segni che in altre invece non esistono, per cui il loro uso è molto meno universale di quello che si desidererebbe. La seconda intuizione geniale viene all'operatore telefonico giapponese SoftBank che nel 1997 inizia a implementare sui suoi modelli di telefono le emoji, ovvero emoticon sotto forma di pittogrammi. La lingua giapponese, del resto, si presta molto a una resa "visiva" delle parole, pensando ai maestri di calligrafia che da secoli tramandano l'arte della scrittura in ideogrammi (che non rappresentano delle parole, ma dei concetti).
Nascono quindi le faccine così come le conosciamo oggi, ormai presenti in tutte le app di messaggistica che usiamo giornalmente e nei sistemi operativi di tutti gli smartphone. Il World Emoji Day nasce nel 2014 su idea del designer Jeremy Burge, fondatore di emojipedia.org ed è diventato poi il giorno della presentazione delle nuove emoji da parte di Unicode, ovvero l'associazione di volontari che si occupa di standardizzare quanto più possibile i caratteri informatici perché siano recepibili in ogni parte del mondo al di là della barriera linguistica.
Emoji, odi et amo
È innegabile che le emoticon e le emoji siano ormai diventate talmente tanto popolari che sembra quasi impossibile farne senza. Sono entrate a far parte non solo della comunicazione scritta, ma anche di quella verbale e paraverbale (quante volte avete cercato di ricrearle con le vostre espressioni facciali?), generando poi una serie infinita di gadget con le celebri faccine e nel 2017 persino un film d'animazione intitolato, con molta fantasia, The Emoji Movie (in italiano Emoji - Accendi le emozioni, disponibile su Netflix). Eppure, in tanti proprio non riescono a digerirle: tra i principali argomenti addotti dai detrattori delle emoji c'è l'accusa di aver impoverito il linguaggio e di aver disabituato le persone (specie i giovani e i nativi digitali) a sforzarsi di cercare le parole migliori per esprimere le proprie emozioni.
Di aver vanificato, in sostanza, migliaia di anni di lavoro di poeti, romanzieri e scrittori e aver promosso lo scarso impegno. Non sappiamo chi abbia ragione e chi torto, ma forse le emoji sono come gli inglesismi nel dizionario: sulle prime possono dare fastidio, poi vengono accettate e alla fine è come se fossero sempre state lì.
Vi lasciamo con un'ultima curiosità: nel 2014 Katy Perry per il lancio del singolo Roar scelse di realizzare un lyric video fatto quasi tutto con le emoji.
Happy World Emoji Day!